La Patria lasciata

Gli slavi Radolovich dall’Istria ai Campi profughi di Udine e Laterina, 1956.

Un recente testo sull’esodo proposto dal blog di Elio Varutti sull’esodo scritto da Edoardo Radolovich, Secretariovi, nato nel 1948 a Ciòlin / Dvori, comune di Castellier-Santa Domenica / Kaštelir-Labinci, vicino a Parenzo. Si tratta di una famiglia contadina istriana di sentimenti serbo-croati, come si diceva al tempo della Jugoslavia, che non ce la fa più a stare sotto Tito dal punto di vista economico, oltre che politico. Nel 1954 Giovanni, il capofamiglia, classe 1920, chiede i documenti per emigrare, pagando un’alta cifra, con l’aiuto dei parenti, ma perdendo la casa, la stalla e i campi di Marzana.

Poi nel 1956  la partenza in treno per Trieste, ritornata all’Italia nel 1954. Il bambino Edoardo transita con i familiari al Centro smistamento profughi di Udine, dove vengono destinati al Centro raccolta profughi di Laterina (AR). La famiglia, infine, è residente a Spinea (VE), dove con la scuola, il lavoro, la casa popolare ed i risparmi tutti i Radolovich si sistemano. Ringraziamo l’Autore per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione delle sue peripezie da bambino nella guerra fredda, preoccupato più del suo gatto istriano che della vita nelle baracche di Laterina. È pieno di tenerezza il brano dove racconta che in tre scolari escono dal Campo, in estate, per andare a trovare la maestra Giulietta Del Vita di Montevarchi, perdendosi nella notte. Diffondiamo queste storie convinti come siamo che lo spirito europeo pervade l’Istria, Fiume e la Dalmazia, oggetto di spartizione nazionalista nel Novecento. In parentesi riquadrate sono segnate alcune note di spiegazione. (a cura di Elio Varutti).

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http://eliovarutti.blogspot.com/2022/01/la-patria-lasciata-gli-slavi-radolovich.html 

Nell’immagine l’Asilo di Marzana (Pola). La prima a destra in piedi è Laura Radolovich, sorella dell’Autore, primi anni ‘50. Collezione di Edoardo Radolovich

L’Archivio Museo Storico di Fiume per la Giornata della Memoria

Piccoli contributi dedicati agli Ebrei di Fiume e di Abbazia sterminati nei lager nazisti.
Ricordo di Marcel Ty Berg un musicista ebreo nato a Vienna  nel 1893. Insediatosi nel Quarnero dopo la prima guerra mondiale, Ty Berg esercitò la professione di maestro di musica ad Abbazia, località vicina a Fiume. Uomo mite e stimato da molte importanti famiglie di Fiume, figurava tra gli artisti iscritti nella guida della città di Fiume e dintorni. Ty Berg, purtroppo fu deportato dai nazisti nel 1944 ad Auschwitz e da lì non fece più ritorno insieme ad altri 363 ebrei fiumani.
La Società di Studi Fiumani  – Archivio –Museo  di Fiume lo ricorda grazie alle notizie forniteci da un nostro socio benemerito, il dottor Enrico Mihich, nipote di un altro scienziato fiumano e patriota  Lionello Lenaz (il quale in pieno 1939 criticò con una lettera all’Istituto di Cultura Fascista a Fiume l’emanazione delle leggi razziali).
Enrico Mihich, ormai scomparso qualche anno fa, fece una grande carriera di medico e scienziato all’Università di Harvard. Il prof. Mihich era esule da Fiume.
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https://abitarearoma.it/il-ricordo-di-marcel-tyberg-e-del-prof-enrico-mihich-esule-fiumano/

Memorie fruibili a Roma per il Giorno del Ricordo

In occasione del Giorno del Ricordo la Società di Studi Fiumani ricorda che l’Archivio Museo storico di Fiume e Centro Studi e Ricerche è aperto tutti i giorni e per tutto l’anno in Via Antonio Cippico 10, nel Quartiere Giuliano-Dalmata della capitale (telefono 06 5923485, mail info@fiume-rijeka.it.

La Società di Studi Fiumani Archivio Museo storico di Fiume è un ente riconosciuto dalla Legge 92 /2004 istitutiva del Giorno del Ricordo, presieduto dal prof. Giovanni Stelli.

Le collaborazioni attivate dalla SSF comprendono numerose istituzioni pubbliche e private, oltre ad un’intensa attività nelle scuole.

Fece emergere per primo gli orrori delle Foibe. Addio al giornalista zaratino Antonio Pitamitz.

In un commosso addio di Fausto Biloslavo e Gian Micallessin pubblicato sul Giornale c’è il racconto di quel suo impegno a far emergere una verità, quella delle foibe, che per troppi anni era stata taciuta. Ma per lui, nato a Zara 1l 23 agosto del 1936, quell‘orrore doveva essere raccontato anche a rischio della sua reputazione quando pubblicò su Storia Illustrata nel 1983 la prima inchiesta documentata anche sugli eccidi commessi dai partigiani italiani. “Rompere quel tabù gli costò caro” scrivono Biloslavo e Micalessin.
La figura di Antonio Pitamitz resterà quella di un cronista attento che ha tenuto la schiena dritta là dove le ideologie e le appartenenze  hanno tentato di occultare la verità della storia realmente vissuta.
“Un altro zaratino ci ha lasciato” ha commentato in merito Marino Micich Direttore dell’Archivio Storico di Fiume in Roma e figlio di esuli dalmati.

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http://www.primapress.it/primo-piano2/breaking-news/breaking-news/addio-ad-antonio-pitamitz-il-giornalista-che-fece-emergere-gli-orrori-delle-foibe.html

1953: il Natale nel Campo profughi di Napoli

La data è del 1953. Due paginette dai contorni dorati. Il maestro di nome faceva Dorato pure lui e ci aveva fatto scrivere così: “Adorato babbo, nella grande ricorrenza della nascita del Bambin Gesù il mio cuore è colmo di gioia, anche perché come dal ritorno da una lunga crociera mi trovo festoso fra voi. Il grande sacrificio che fate nel tenermi lontano da voi, vi sarà ricompensato con la mia massima buona volontà allo studio affinché un giorno possa rendervi felice. A questa promessa unisco gli auguri più fervidi per le feste natalizie. Vostro affezionatissimo figlio Sergio”.

Vestiti con la divisa da marinaretti, pieni di felicità, accompagnati da qualche Istitutore volonteroso, così si chiamavano i nostri guardiani all’orfanotrofio, prendevamo la Cumana il trenino che collega Baia al centro di Napoli. Ognuno poi scendeva alla fermata del paese dove abitava. Io scendevo a Fuorigrotta. Sai qui all’epoca iniziavano a costruire il S. Paolo, il nuovo campo sportivo del Napoli, ma lì vicino c’era un altro tipo di “Campo”, il “Canzanella”, una distesa di baracche recintate tutt’intorno di filo spinato dove all’entrata due poliziotti armati di fucile controllavano chi entrava o usciva, mettendomi paura.

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Garibaldini Fiumani nelle battaglie per Roma

Il Mausoleo Ossario Garibaldino sorge a Roma sul Gianicolo nella località detta Colle del Pino, dove tra il 30 aprile e i primi giorni del luglio 1849, guidata da Giuseppe Garibaldi, si svolse l’ultima strenua difesa della Repubblica Romana proclamata il 9 febbraio dello stesso anno.

Progettato dall’architetto Giovanni Jacobucci (1895-1970) e solennemente inaugurato il 3 novembre del 1941, dopo due anni di lavori, il Mausoleo accoglie i resti dei caduti nelle battaglie per Roma Capitale dal 1849 al 1870.
L’esigenza di ricordare degnamente i caduti per Roma fu posta con forza all’indomani della presa di Porta Pia. Nel 1878-79 lo stesso Garibaldi e il figlio Menotti furono tra i promotori della legge che riconobbe nel Gianicolo il luogo dove raccogliere i resti dei patrioti.

Ma apprendiamo da Marino Micich che nel Mausoleo delle lapidi -tra i tanti caduti per Roma-  si enumera anche Nicola Marsanich, nativo da Fiume.

La storia del basket a Pola, Fiume e Zara nel n. 45 della Rivista FIUME

Da 99 anni la Rivista di studi adriatici FIUME è veicolo di storia, cultura e civiltà. Sopravvissuta all’immane tragedia dell’esodo, iniziato nel 1945 dopo l’occupazione militare jugoslava, la Rivista fu ricostituita in esilio a Roma nel 1952.

Il nuovo numero può essere richiesto inviando una mail al dr. Marino Micich

marino.micich@virgilio.it

La nuova pubblicazione contiene saggi eccellenti e articoli di attualità culturale. In questa sede vengono trattati dai vari autori temi diplomatici e identitari, argomenti linguistici sul dialetto fiumano e storici su Rovigno d’istria, nonché biografici, riguardanti uno dei migliori promotori della cultura fiumana, Francesco Drenig. Non manca un articolo sulla storia della pallacanestro a Fiume, Pola e Zara, né interessanti recensioni e un recente dibattito sulle Foibe e l’uso pubblico della storia.

Umago, con il Museo civico alla scoperta delle radici istriane

Le radici sono importanti; quelle che ci parlano della vita, della gastronomia, dell’economia, delle tradizioni di un paese o di una città. E sono importanti soprattutto quando di mezzo ci sono state guerre ed esodi. Purtroppo, per Umago il periodo tra le due Guerre mondiali e anche l’immediato dopoguerra fino agli anni 60 del secolo scorso, non è stato troppo felice. Gli anziani ancora in vita parlano di come sia stata dura andare avanti, di come un tempo si soffriva la fame. Ma si ricordano anche di come dopo il secondo conflitto mondiale le cose siano cambiate: prima a causa dell’esodo, davvero disastroso, poi per le difficoltà economiche, di cui si è avuto ragione solo dopo gli anni 60 del secolo scorso, quando vennero costruite le fabbriche, come il cementificio, lo stabilimento “Hempel”, l’”Istra-auto” e altre. 

(nella foto il Museo civico di Umago)

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https://lavoce.hr/reportage/umago-con-il-museo-civico-alla-scoperta-delle-radici-conoscere-per-tramandare

Che ci facevano i titini a Gemona del Friuli nel 1945 ?

Una ricerca di Elio Varutti riscopre la fotografia di copertina di un volume del 2007 che mostra l’avvenuta invasione di partigiani jugoslavi. L’immagine è del 3 maggio 1945, opera del famoso studio fotografico di Piazza. Vi si vede un assembramento di persone e vari partigiani osovani, col cappello d’alpino, del Battaglione Ledra vicino a un carro armato inglese fermo, in autocolonna, davanti al comando provvisorio partigiano, ex caserma della Milizia, in Via XX Settembre.

Si svolgono febbrili trattative tra il maggiore Tommy Macpherson, dalla torretta del blindato e un capitano jugoslavo del IX Corpus, salitogli accanto. Il maggiore scozzese ha la meglio, scacciando i titini, che volevano annettere Gemona alla Jugoslavia. Così pure a Cividale, Resia, Venzone, Tarvisio…

L’espansionismo jugoslavo del dopoguerra al confine orientale italiano faceva paura persino agli USA. Dal Colorado, infatti, a fine maggio 1945 fu inviata sulle Alpi Giulie, vicino a Tarvisio (UD), la Decima divisione addestrata a combattere in particolari condizioni metereologiche di montagna per respingere le truppe di Tito. Mission M.t Mangart è il titolo di un film su quei fatti, opera del regista statunitense Chris Anthony, premiato come miglior documentario al World Film Festival di Cannes 2021.

Monfalcone (GO), nella Venezia Giulia, sono giunti in varie località del Friuli, terra tradizionalmente italiana con delle minoranze linguistiche e nel vicino Veneto. Il riferimento degli appetiti jugoslavi è a Romans d’Isonzo (GO), Cividale del Friuli, Gemona, Venzone, Aquileia e Cervignano del Friuli, nella Bassa friulana. Una jeep di artificieri jugoslavi fu vista Pochi autori spiegano che i titini, oltre ad occupare Zara, Fiume, Pola, Trieste, Gorizia e da partigiani della Osoppo sulle rive del Tagliamento.

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https://evarutti.wixsite.com/website/post/titini-a-cividale-gemona-resia-e-venzone-in-provincia-di-udine-nel-1945?fbclid=IwAR2hE6vZ4G0GvYfe9c61bJj8nDQALw_3sHX_ls4Hgv7-WxPVM-WoXad5eNA

Regione Veneto: bando concorso su vicende degli Esuli giuliano-dalmati

La Giunta regionale, con Deliberazione n. 1742 del 09 dicembre 2021 (BUR 168 del 14 dicembre 2021), nell’ambito delle iniziative regionali di arricchimento dell’offerta formativa, ha bandito un Concorso sul tema: “Esuli dell’Istria e della Dalmazia in Veneto: dai centri di raccolta ad una nuova vita”, per l’assegnazione di n. 9 premi in denaro per i migliori elaborati realizzati nell’Anno Scolastico-Formativo 2021/2022 dagli studenti del Veneto frequentanti le Scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, statali e paritarie.

(nella foto dia nteprima la mappa dei campi profughi dove furono stabiliti gli Esuli al loro arrivo)