Truffa da 1,5 miliardi scoperta per l’errata indicazione di un Comune ceduto alla Jugoslavia

Ecobonus, Sismabonus, Superbonus 110%: c’era di tutto nella truffa organizzata da un commercialista napoletano, con testa di ponte ad Asti e Schio ed ulteriori ramificazioni in tutta Italia. Un miliardo e mezzo di crediti per lavori mai fatti, su immobili talvolta inesistenti, ma inseriti quasi a casaccio nei cassetti fiscali di improbabili società.

E uno dei dati che hanno scoperchiato il vaso di pandora sta nell’uso del codice di un Comune italiano che non esiste più, da quando nel 1947 è stato ceduto alla Jugoslavia.

Abbiamo così ricostruito l’accaduto.

Il commercialista inseriva sul sito dell’Agenzia delle Entrate dati fittizi per ottenere dallo Stato i crediti d’imposta per aziende intestate a nullatenenti. Per non attirare l’attenzione, usava i codici catastali di un gran numero di Comuni, prendendoli a caso dagli elenchi ufficiali. Non sapeva però che in tali elenchi sono compresi anche i Comuni non più esistenti, ovvero quelli ceduti dall’Italia alla Jugoslavia col Trattato di Pace di Parigi nel 1947.

Ecco quindi che l’indicazione del codice A099 corrispondente all’ex Comune italiano di Aidussina (quello in uso in fondo al codice fiscale, come per Roma è H501) ha fatto balzare agli occhi dei finanzieri la conferma della truffa. Il Comune, non lontano dal confine italiano, ora fa parte della Slovenia.

I codici di questi Comuni rappresentano una vecchia diatriba tra Esuli e pubbliche amministrazioni, che hanno sempre mal digerito la presenza di codici fiscali di Comuni non più italiani, preferendo spesso indicare gli Esuli come nati in Jugoslavia (dato falso), nonostante una legge del 1989 chiarisse inequivocabilmente il diritto degli Esuli di essere indicati quali nati in Italia.

(nella foto Aidussina quando era un Comune italiano)

Esodo e Foibe: l’intervista di Marino Micich al settimanale croato di Zara

Lo scorso marzo il settimanale zaratino ”Hrvatski Tjednik” ha pubblicato un’intervisto a Marino Micich (direttore dell’Archivio Museo storico di Fiume a Roma, Segretario Generale della Società di Studi Fiumani e docente di master storici presso l’Università Nicolò Cusano).

Ora abbiamo disponibili sia l’articolo completo in croato che la traduzione in italiano. L’articolo originale in croato lo trovate a questo link http://www.cartaadriatica.it/wp-content/uploads/2022/09/intervista.micich.pdf

La traduzione completa è qui di seguito. Buona lettura!

In febbraio i  profughi  italiani ricordano, in base alla legge Il Giorno del Ricordo, la fuga dal regime comunista jugoslavo e la firma del Trattato di Pace di Parigi. Come viene celebrato a 75 anni da quegli avvenimenti?

Il Giorno del Ricordo si celebra in Italia dopo lunghi anni di oblio, senza rivendicazioni politiche territoriali, ma per dare dignità alle sofferenze patite dagli italiani costretti dalla politica del regime comunista jugoslavo ad abbandonare case, negozi e ogni genere di proprietà dopo la seconda guerra mondiale. Il 10 febbraio il Parlamento italiano ricorda ufficialmente assieme alle associazioni degli esuli istriani e dalmati, questi drammatici avvenimenti. Spesso al Parlamento italiano sono presenti alla cerimonia del ricordo anche gli ambasciatori di Slovenia e Croazia. In quel tempo non ci fu un decreto di espulsione contro gli italiani, ma la politica del terrore e poi la mancanza di libertà imposta dal nuovo sistema comunista di Belgrado spinse all’esodo circa 300.000 persone  dalle terre istriane e fiumane, di cui circa 260.000 erano italiani e almeno 40.000 erano cittadini italiani di nazionalità croata e slovena che preferirono il sistema occidentale. 

Come si pongono di fronte a questa storia secondo lei i politici italiani, sloveni e croati? 

La storia dell’esodo per una gran parte della storiografia italiana è una conseguenza della guerra persa, ma anche il risultato della politica del regime di Tito sui territori della frontiera giuliana in tempo di pace. Gli attuali politici italiani vedono in questa storia taciuta per lungo tempo una possibilità di promuovere un dialogo costruttivo con la Slovenia e Croazia, dove vive ancora una minoranza italiana di circa 25.000 persone. Da parte slovena e croata non ci sono  opposizioni in merito a riconoscere agli italiani i diritti civili e politici. Valuto il clima politico tra Italia, Slovenia e Croazia riguardante la tutela delle reciproche minoranze positivamente. In realtà, solo alcuni politici italiani legati all’ideologia comunista e  una parte di politici sloveni e croati nostalgici del vecchio regime di Tito, considerano questa vicenda una storia scomoda e non vogliono che venga conosciuta nella sua reale complessità. Del resto sotto la Jugoslavia comunista hanno sofferto pesanti purghe politiche anche decine e decine di migliaia di sloveni e soprattutto di croati. L’accusa predominante era l’accusa di essere „nemici del popolo“. Ebbene parlare di esuli italiani si arriva a prendere in considerazione anche le violenze subite da decine di migliaia di croati e sloveni da un sistema jugoslavia dittatoriale. In Croazia e in Slovenia non si sono fatti fino in fondo i conti con la propria storia e il periodo comunista jugoslavo.       

Sulle varie posizioni politiche quanto influiscono i traumi storici causati nel XX secolo dal comunismo, fascismo, nazionalsocialismo?

Le prese di posizioni politiche sono ovviamente molto importanti. Penso che sia fondamentale il sostegno della politica affinchè si possa dare il via a concrete riflessioni sulle dittature e i totalitarismi, i quali certamente si somigliano, ma non sono esattamente uguali. Senza il consenso dei vertici politici più importanti non si arriva poi a promuovere studi adeguati sulla storia dei regimi passati e sulle loro effettive conseguenze nel tessuto politico, sociale ed economico degli attuali Stati europei.  In queste posizioni politiche ci sono anche influenze legate al passato sia nei poltici di destra che in quelli di sinistra. Mi sembra però che la destra parlamentare italiana abbia posto una giusta distanza col fascismo, solo alcuni politici esaltano l’idea di un neo nazionalismo ma più dal punto di vista culturale, mentre la sinistra in Croazia o in Slovenia non ha preso le giuste distanze dal comunismo di Tito e in qualche modo dimostra  di sentire una certa nostalgia per la vecchia Jugoslavia socialista  federale, forse per soddisfare un’ esigenza di legittimazione politica. Basta ricordare il progetto artistico di porre una „stella rossa“  sul grattacielo di Rijeka durante il periodo di Fiume-Rijeka capitale della cultura europea. Il progetto fu salutato dall’allora sindaco uscente di Rijeka Vojko Obersnel. Un gesto che ritengo molto discutibile, perchè se da una parte ricorda la guerra di liberazione contro il nazifascismo, dall’altra parte ricorda la dittatura comunista jugoslava, che ha poi prodotto in tempo di pace più di 250.000 morti nelle terre croate, slovene ecc. Circa 8.000/10.000 itaiani furono uccisi nelle foibe o nei campi di concentramento di Tito, ma oltre 250.000 furono le vittime slovene, croate e serbe non comuniste. Una storia difficile ancora da studiare e indagare fino in fondo. Se sui crimini fascisti e nazisti in Europa si conosce ormai quasi tutto, sui crimini del comunismo ci sono ancora molte resistenze a studiarli e a denunciarli.  

Quali sono gli scopi del lavoro portato avanti dall’Archivio Museo storico di Fiume di cui lei è direttore?  Perché è stato fondato e da chi?

L’Archivio Museo storico di Fiume, con sede nel Quartiere Giuliano dalmata di Roma, fu fondato da esuli fiumani nel 1963 ed è di proprietà della Società di Studi Fiumani. L’Archivio Museo di Fiume ha lo scopo di illustrare e studiare la storia di Fiume, del Quarnaro e delle terre istriane e dalmate. Gli scopi sono esclusivamente culturali e scientifici. Parte integrante dello statuto della Società di Studi Fiumani è il Manifesto culturale fiumano, dove la Società di Studi Fiumani affida alla Croazia il compito di preservare, con spirito europeo, la storia dell’identità culturale italiana presente da secoli, assieme a quella croata, a Fiume e nei territori costieri bagnati dal Mare Adriatico.

Nel vostro lungo operare cosa siete riusciti a fare per far conoscere la storia in Italia e in Croazia? 

Nel corso della lunga attività della Società di studi fiumani e del suo Archivio Museo, molti studi e convegni sono stati organizzati per la conoscenza dell’identità culturale italiana presente a Fiume e nel Golfo del Quarnero. Inoltre, negli ultimi venti anni si sono organizzati convegni internazionali anche con studiosi italiani, croati, ungheresi per mettere in rilievo la ricchezza delle culture presenti nell’area territoriale fiumana. A Fiume come in Istria o a Zara convivevano italiani e croati in maniera accettabile prima dell’epoca dei nazionalismi e dei totalitarismi. Dopo l’avvento delle dittature fascista e poi comunista jugoslava le cose sono cambiate in peggio e la convivenza tra popoli è diventata molto difficile.

Quali sono le iniziative di cui lei è particolarmente orgoglioso?

La Società di studi fiumani è particolarmente orgogliosa di aver organizzato oltre ad un grande convegno internazionale col patrocinio del Comune di Rijeka-Fiume nel 1999 dal titolo „Fiume-Rijeka nel secolo dei grandi mutamenti“, una ricerca sulle perdite umane italiane a Fiume e dintorni dal 1939 al 1947 conclusa in collaborazione con l’Istituto Croato per la storia di Zagabria nel 2002 e pubblicata in versione bilingue italiano-croato.Tramite questa ricerca si e’arrivato a contare circa 580 vittime fiumane e italiane liquidate dall’Ozna a guerra finita. Aver concluso una ricerca internazionale di questo livello è veramente un fatto molto significativo per gli studi su questi argomenti ancora poco conosciuti.  Inoltre, aver dato vita all’Archivio Museo storico di Fiume a Roma e tenerlo aperto tutti i giorni per le scuole e il pubblico è un altro grande risultato.

Come è cambiato l’operato della vostra istituzione dal Cilma di Guerra Fredda all’indipendenza della Croazia e Slovenia?

Durante la Guerra fredda l’opera della Società di Studi Fiumani era rivolta al pubblico italiano, ma in quei tempi anche in Itaila non era facile far conoscere la storia di Fiume oppure il dramma dell’esodo dei fiumani. In Italia c’era un forte partito comunista che era amico di Tito e non voleva ascoltare le sofferenze degli esuli. In quel periodo era vietata nella Jugoslavia socialista anche la libera circolazione della nostra Rivista „Fiume“, nè gli esuli potevano organizzare incontri culturali in città. Sono solo piccoli esempi del passato clima di guerra fredda. Invece, con la nascita della Repubblica di Croazia, la situazione è molto cambiata ed è stato possibile promuovere un dialogo culturale a Fiume-Rijeka e con Zagabria di grande livello sin dal 1991. Da quel momento la Società di Studi Fiumani ha organizzato in Croazia convegni, conferenze e  collaborazioni anche con il Museo Civico di Rijeka diretto dal prof. Ervin Dubrovic.

Come considera  il fatto che nella società croata si continua a divulgare la storia attraverso la sola lettura antifascista della storia. Come vede da storico questa unilaterale lettura della storia?  

Secondo me bisogna fare uno sforzo comune per arrivare a una storia più condivisa. Se da parte comunista sono stati commessi pesanti errori e crimini anche da parte del regime di Pavelic sono stati commessi gravi errori e crimini. Bisogna che ciascuna parte politica prenda atto di questa storia difficile e cerchi di costruire un nuovo percorso di crescita etica e culturale per la Croazia di oggi. Prima però di arrivare a questo risultato bisogna fare in modo che tutte le vicende storiche vengano conosciute e studiate scientificamente. Al momento in Croazia hanno ancora molto spazio le interpretazioni ideologiche di parte e questa persistenza nuoce al dibattito aperto e democratico sui fatti della storia.

Uno dei fatti strani legati al marketing post ideologico accaduti a Fiume-Capitale europea della cultura 2020 è stata la storia della stella rossa posta sul grattacielo di Fiume. Cosa pensa a riguardo?

L’operazione „stella rossa“ è’ stata una iniziativa che sicuramente gli esuli italiani di Fiume hanno condannato. Se il regime di Tito ha avuto il merito di combattere il nazifascismo, ha successivamente instaurato una vera e propria dittatura. Dopo la Seconda guerra mondiale Tito non ha portato la vera democrazia e la  libertà ai popoli ed è per questo motivo che quella „stella rossa“ posta sul grattacielo di Rijeka-Fiume è un’ azione non giustificabile. Obersnel ha comunque  avuto per gli esuli una certa stima e considerazione, accogliendo ogni anno al municipio le delegazioni delle associazioni degli esuli fiumani di Padova e della Società di studi fiumani; Obersnel ha anche sostenuto le tabelle bilingui (italiano e croato) nelle vie della Città vecchia di Fiume e in più ha compiuto un grande gesto di considerazione verso la Società di Studi Fiumani venendo a Roma a visitare l’Archivio Museo storico di Fiume nel 2019. Non riesco a capire questo gesto, se non per motivi elettorali, dell’ex sindaco di Rijeka verso la „stella rossa“ e quindi il conseguente richiamo a un regime, come quello di Tito, che alla luce della storia è stata una vera e propria dittatura.

Cosa è successo a Fiume alla fine della seconda guerra mondiale con l’istaurazione del regime comunista e vengono eliminate persone non d’accordo con la nuova visione politica sul futuro della città?

A Fiume il 3 maggio 1945 arrivarono le brigate partigiane della IV Armata Popolare jugoslava. I tedeschi iniziarono la ritirata assieme ad alcuni gruppi armati italiani della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini. Prima di ritirarsi i nazisti distrussero il porto di Fiume. Il giorno dopo iniziarono gli arresti di cittadini e militarizzati ad opera della polizia segreta OZNA. Vengono arrestati dall’Ozna i poliziotti, guardie di finanza italiani rimasti tranquillamente in città, i quali avrebbero potuto ritirarsi insieme ai tedeschi. Non immaginavano questi poliziotti che sarebbero poi stati fucilati o gettati in alcune foibe dei dintorni di Fiume probabilmente per vendetta. Subito dopo vennero arrestati  i senatori di Fiume Icilio Bacci e Riccardo Gigante. Tra la notte del 4 e 5 maggio 1945 furono assassinati da emissari dell’Ozna tutti gli esponenti autonomisti di Fiume, che erano antifascisti, ma che sognavano di ristabilire lo Stato autonomo di Fiume con a capo il vecchio leader Riccardo Zanella, che si trovava a Parigi. Vennero poi arrestate e fermate oltre 30 donne che erano mogli di maestri oppure di ufficiali dell’esercito italiano. Scomparvero tutte quante senza lasciare traccia. Tra queste donne ricordo Adolfina Hodl di 17 anni che fu arrestata e poi fatta sparire. Furono uccisi anche alcuni maestri, impiegati comunali, sacerdoti e altri semplici cittadini. Il motivo vero non lo sapremo mai, perchè l’OZNA non lasciava traccia di questi omicidi. Oltre 580 fiumani e italiani furono liquidati tra il maggio e il luglio del 1945.Non erano tutti fascisti ma erano accusati di essere „nemici del popolo“. Si trattava della epurazione preventiva guidata dall’OZNA.    

Una delle più efferate uccisioni da parte partigiana fui quella di Riccardo Gigante. Finito con ganci da macellaio a Castua.  Cosa sa del caso di Riccardo Gigante e della sua  uccisione? La moglie Edith Ternyei era di origini ebraiche?

Riccardo Gigante rimase in città, avrebbe potuto fuggire, ma non si riteneva responsabile dei crimini commessi dai nazisti contro la popolazione civile croata né di quelli commessi dal prefetto fascista Temistocle Testa a Pothum. Pensava che avrebbe potuto rappresentare i diritti degli italiani di Fiume, ma si sbagliava. Fu arrestato all’alba del 4 maggio 1945 nella sua casa e condotto insieme ad altri italiani a Castua. A Castua vicino alla vecchia chiesa (Crekvina) fu fucilato, senza processo, assieme ad altri 8 italiani e sventrato dalle baionette. I cadaveri vennero poi sepolti nel bosco della Loza a circa 1 km di distanza dalle case del paese. Sopra i vadaveri gettarono ossa e resti di capra e altri animali. Il luogo della fossa fu individuato dopo le ricerche di Amleto Ballarini e con l’aiuto del parrocco di Castua don Franjo Jurcevic nel 1995. Per molti anni Ballarini organizzò una messa a Castua per poter chiedere la riesumazione di Gigante e degli altri italiani uccisi, io ero sempre presente alla messa e aiutavo nelle ricerche. Nel 2018 i resti furono recuperati grazie a un accordo sulle sepolture di guerra tra Italia e Croazia e poi vennero portati in Italia al Tempio di San Nicolò di Udine. I resti di Gigante furono poi individuati grazie all’esame del DNA e poi portati nel sepolcro del Vittoriale degli italiani che si trova accanto alla tomba di Gabriele D’Annunzio. Sono stati portati li perchè questo era il volere testamentario di D’Annunzio e di Gigante. Grazie al Presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri e all’aiuto del Senatore Maurizio Gasparri si è conclusa l’operazione di sepoltura. A Castua, va aggiunto, che operò per lunghi mesi un reparto di liquidazione del KNOJ. Ci devono essere molte fosse nel bosco intorno a Castua che contengono altre vittime italiane e croate non fedeli al regime di Tito. Bisognerebbe attivare nuove ricerche. 

Lo stesso destino è toccato a Sincich e agli autonomisti dello Stato Libero di Fiume.

La tragica fine di Giuseppe Sincich è simile a quella di altri autonomisti fiumani. Furono assassinati in due giorni anche il dottor Mario Blasich, l’industriale Nevio Skull, il dottor Radoslav Baucer e Giuseppe Rubinich. Altri giovani autonomisti furono arrestati e internati nei carceri di Lubiana e Maribor. Pochi di loro tornarono indietro. Insieme agli autonomisti vennero arrestati anche alcuni esponenti del partito popolare cristiano Antonio Luksich Jamini e Mario Dassovich. Gli autonomisti furono uccisi perchè potevano chiedere l’indipendenza di Fiume come avvenne nel 1920. 

Riguardo ai crimini del regime comunista jugoslavo si tenta ancora di „giustificarli“ con i crimini compiuti dai fascisti sui croati e sloveni, ma come spiegare il selvaggio trattamento dei partigiani titini nei confronti della giovane studentessa istriana Norma Cossetto nell’ottobre 1943?

 L’azione dei combattenti partigiani di Tito contro il nazifascismo è comprensibile e va rispettata. Non è giustificabile invece la nuova dittatura comunista instaurata con la forza militare e poliziesca a guerra finita. Questo non è eticamente comprensibile né giustificabile al giorno di oggi, in cui l’Unione Europea fonda la sua azione sui principi di democrazia e libertà. Norma Cossetto è solo una delle oltre 430 donne italiane uccise e spesso violentate dai partigiani di Tito in Istria, a Fiume e a Zara. Qualcuno potrà dire che tante donne croate e slovene sono state uccise dai nazifascisti, ma un crimine non può giustificare altro crimine. I crimi dei nazifascisti sono stati sempre condannati ma quelli commessi dai comunisti jugoslavi i sovietici trovano ancora chi li giustifica. Questo giustificare non è eticamente corretto. 

Il clima di violenza spinge gli appartenenti alla comunità etncio-linguistica italiana ad abbandonare per paura la città e al posto loro verranno portati in città altri cittadini jugoslavi, che muteranno la struttura etnica, sociale e culturale di Fiume? Come illustrereste questi avvenimenti?    

Il regime comunista jugoslava instaurando una dittatura colpiva non solo gli italiani, ma anche le minoranze tedesche, ungherese e così gli stessi croati, sloveni che non erano favorevoli alla dittatura comunista. Diventavano tutti „nemici del popolo“…Vlatko Macek, che fascista non era, dovette fuggire negli Stati Uniti per salvarsi e così altri esponenti non solo nazionalisti croati ma anche di altri partiti dovettero fuggire per non essere uccisi. Anche esponenti comunisti croati dissidenti come Andrija Hebrang (padre) finirono internati e uccisi dall’UDBA. Senza poi ricordare il grave caso dell’Arcivescovo Alojzije Stepinac, imprigionato e umiliato dal regime di Tito. Molti sacerdoti furono vittime innocenti di quel regime che aveva nell’UDBA, comandata dal comunista serbo  Aleksandar Rankovic, la forza principale di repressione antidemocratica.      

Come giudica personalmente la tragedia degli esuli dopo la seconda guerra mondiale?

La tragedia degli esodi dopo la seconda guerra mondiale deve essere conosciuta. La fuga dai sistemi comunisti dell’Europa orientale sotto il ferreo controllo del regime sovietico di Stalin è stata  una scelta di libertà e di democrazia. Non si tratta di semplici emigrazioni. Quasi tutta la mia famiglia presente oltre 500 anni in Dalmazia è andata via verso l’Italia e l’Australia per non rimanere sotto il regime jugoslavo di Tito e anche perchè legata alla civiltà italiana. Si parlavano in famiglia tre lingue italiano, croato e albanese. Mia madre è nativa di Arbanasi, un borgo albanese cattolico che sorse vicino Zara nel lontano 1725.   

Le sue origini sono di Zara. Ci può spiegare su che basi la sua famiglia si è determinata per la nazionalità italiana (lo stesso procedimento vale per i fiumani)

La mia famiglia ,Micich, proveniva probabilmente dalla Bosnia e arrivò a Zara insieme ad altre famiglie in fuga dai turchi intorno al 1680. Zara era territorio veneto e in città la popolazione italiana era da sempre molto numerosa. Mio padre nacque nel 1930 a Zara che apparteneva ormai al Regno d’Italia, in base al Trattato di Rapallo del 1920. Le scuole di mio padre erano in lingua italiana e in famiglia si parlavano quindi il croato e l’italiano. In famiglia di mia madre si parlava in casa l’albanese. Quando sono arrivati i partigiani mio padre aveva solo 14 anni. Mio nonno chiese l’opzione dopo il 1947, ma non fu concessa e così papà con i suoi 7 fratelli è rimasto a Zara fino al 1955. Dopodiché due fratelli sono fuggiti clandestinamente e hanno raggiunto Trieste, mio padre nel 1956 ha avuto il documento per andare in Italia con mia madre. Tutti i Micich sono andati via. La scelta di mio padre è stata politica, perchè non aveva mai accettato di vivere sotto il regime comunista jugoslavo.           

Un ramo della tua famiglia rimasto in Croazia ha dato un contributo significativo alla difesa nella Guerra contro l’aggressione serba?

Si ho un cugino della mia età Danijel Kotlar, da parte della famiglia di mia madre di Arbanasi. Lui si è arruolato volontario nell’esercito croato, quando i serbi hanno aggredito Zara, poi è diventato un eroe della guerra per l’indipendenza della Croazia democratica.

Alcuni membri hanno combattuto per il generale croato Ante Gotovina?

In particolare mio cugino, diventato poi Generale di Brigata a Sebenico /Sibenik), era agli ordini di Ante Gotovina ed è stato decorato al valor militare dal presidente Tudjman. Sono molto orgoglioso di lui e della sua scelta di combattere contro i serbo-jugoslavi, per dare libertà, indipendenza e democrazia alla Croazia. Anche se l’esodo ci ha separato, in famiglia siamo sempre stati uniti.  

DOMANDE NEI RIQUADRI

Come era la vita a Fiume durante le due guerre mondiali e l’atteggiamento del regime fascista nei confronti dei croati?

A Fiume/Rijeka, sotto il regime fascista esisteva una situazione difficile per la popolazione croata e slovena presente in città per la mancanza di libertà e anche per conservare l’uso della lingua nelle scuole. Il fascismo aveva ingiustamente chiuso le scuole in lingua croata sia a Fiume e sia in Istria. Tuttavia i croati non persero il lavoro nelle molte fabbriche fiumane. Infatti, se nel 1925 si contavano a Fiume circa 10.435 „jugoslavi“ e nel censimento del 1940 il numero di „jugoslavi“ aumentò a circa 15.800“, ciò vuol dire che, evidentemente, non ci fu un calo della popolazione croata e slovena in città. Sicuramente gli accordi di amicizia italo jugoslavi stipulati tra Ciano e Stojadinovic (1937), portarono un certo beneficio anche tra i croati e sloveni presenti in città e nel Quarnero.

Nella Fiume fascista si misero in luce vari fiumani come Bacci, Gigante ecc. Perchè sono importanti e quale ruolo hanno nella Fiume di quel periodo?  

Le famiglie etnicamente miste a Fiume come a Zara erano almeno l’80%. Il passaggio alla lingua e cultura italiana avveniva a Fiume non per decreto ma naturalmente. L’italiano era da secoli la lingua d’uso più comune e così anche il dialetto fiumano. Questa tendenza linguistica e culturale si affermò a Fiume già nel Cinquecento. Anche i cognomi in CH come il mio Micich o Baccich assumono questa forma già nel 1800 e quindi non solo sotto il periodo fascista. I personaggi citati sono significativi perchè politicamente diventano molto importanti: Riccardo Gigante e Icilio Bacci diventano Senatori del Regno d’Italia, Bacci diventa un importante funzionario di stato esperto di economia, Host-Venturi oltre a distinguersi durante l’Impresa di Fiume diventa poi Ministro delle Comunicazioni e Trasporti sotto il regime fascista. Edoardo Susmel invece diventa affermato storico e presidente della Provincia fascista del Carnaro. Nessuno di loro commise crimini contro la popolazione civile croata, perchè non avevano questi poteri per decidere della vita e della morte.

Un esempio reale delle divisioni ideologiche ed etniche è la storia di Marcel Tyberg e di Milan Mihich che potrebbe diventare un film.

Il caso della grande amicizia tra lo sfortunato compositore di origine ebraiche Marcel Tyberg scomparso ad Auschwitz e venuto a vivere da Vienna ad Abbazia/Opatija) e il prof. Milan Mihich, è un esempio di come a Fiume esisteva la tolleranza tra le persone intelligenti e libere da pregiudizi ideologici. Io custodisco e tramando la storia dei Mihich andati esuli in Italia dopo il 1946, perchè è una famiglia fiumana di grandi medici e gente di cultura. Milan Mihich morì assai presto in Italia, il figlio Enrico grazie all’aiuto della madre che si mise a lavorare nelle navi della compagnia Cosulich che andavano negli Stati Uniti, riuscì a laurearsi in medicina a Milano. La madre di Enrico, Rosina Lenaz era figlia del grande medico e patriota Lionello Lenaz. Lenaz fu sempre contrario alla politica della razza del regime fascista. Nel 1950 la madre di Enrico riuscì a portare il figlio negli Stati Uniti dove egli potè continuare gli studi di medicina. Enrico divenne così un grande medico e scienziato oncologo del Roswell Hospital Park di Buffalo e docente dell’Università di Harvard. La musica di Tyberg fu salvata dai Mihich e il figlio Enrico diventato poi uno dei maggiori oncologi al mondo, tenne fede al volere del padre Milan di organizzare un gran concerto con le musiche di Tyberg e così nel 2015 alla presenza del presidente Obama e del presidente croato Josipovic fu organizzato il gran concerto. Un evento molto importante e commovente. Sarrebbe molto bello poter girare un flim su questa storia di grande umanità e amicizia nata sulle rive del Quarnero. Una storia di altri tempi, ma che può essere un nobile esempio da far conoscere alle giovani generazioni.       

Fine

Micich: la Zeta della vergogna e i giuliano-dalmati

Giusto ricordare -nell’attuale crisi Russo-Ucraina- la dolorosa vicenda degli esuli giuliano-dalmati“.  Lo sottolinea sentitamente Marino Micich, direttore dell’Archivio-Museo storico di Fiume in Roma, che nell’occasione porge inoltre i complimenti a Matteo Carnieletto (nuovo direttore de “Il Dalmata”) per il suo contributo di informazione e di verità con la recente conferenza “Dieci anni di guerra: dalla Siria all’Ucraina”.

Ritengo molto pertinente l’accostamento di questi drammi bellici odierni con la vicenda dei giuliano-dalmati, asserisce Micich, quei 300.000 – 350.000 che dopo secoli di storia e permanenza autoctona in Istria, a Fiume e in Dalmazia sono stati travolti, ma non completamente cancellati, dall’ideologia totalitaria comunista. I nazionalismi -prosegue Micich- quando strumentalizzano il legittimo  sentimento di amore di Patria portano guerra e sopraffazione”.

La storia ce lo ha insegnato, bisogna costruire una nuova solidarietà tra popoli europei, ma senza le pesanti derive ideologiche totalitarie. Di qualunque colore esse siano, le dittature esse rimangono tali. Ogni giuliano-dalmata che si consideri democratico e libero, istintivamente si discosta dal simbolo della Zeta utilizzato dalla propaganda russa, perché pur essendo fermamente contrario all’eredità del nazismo, vede in questo simbolo utilizzato da Putin una strumentalizzazione ingiusta, un’etichetta di infamia incollata al popolo ucraino, solo per giustificare un atto di aggressione unilaterale. Putin e le sue Zeta ricordano, a chi conosce la storia molto da vicino, anche i comunisti jugoslavi di Tito e quelli italiani, che per decenni hanno definito e continuano tuttora a definire “fascista” il popolo giuliano-dalmata, per nascondere i crimini  di ogni genere commessi in nome del comunismo e della fratellanza tra i popoli“.

Fa dispiacere il discutibile esempio della Zeta del disonore a Zagarolo, nei pressi di Roma, con la sede del “PCI Monti Prenestini-Nettunense” che utilizza la Zeta di Putin per ricordare un avvenimento storico molto importante. Vediamo aprirsi la strada di una nuova  strumentalizzazione ai danni della verità storica. Se il comunismo sovietico ha contribuito a sconfiggere il nazismo e il fascismo, esso ha poi  costruito un nuovo sistema totalitario causando milioni di morti e abolendo ogni libertà critica di pensiero con la pena di morte e le deportazioni nei lager siberiani. Possibile che il PCI di Zagarolo non mediti a dovere cosa sta succedendo? La storia va conosciuta tutta prima di assumere anacronistiche e dannose posizioni di parte. Putin non è nemmeno più comunista nel senso storico della parola, ma un russo che fonda il suo operato sull’imperialismo degli zar“.

Le Foibe istriane, riempite di cadaveri dai comunisti di Tito durante e dopo la Seconda guerra mondiale, sono un esempio, un monito a noi molto vicino che ci invita a riflettere anche su queste pagine di storia. Riflettere e ponderare attentamente e con spirito democratico per costruire una via alternativa alla guerra quale soluzione dei problemi tra i popoli e i sistemi politici internazionali. La Zeta è un marchio di infamia che almeno in Italia non vogliamo vedere, recando sicuramente disdegno a chi lo utilizza e non a chi lo subisce. Affrontare la crisi  russo-ucraina con questi argomenti, conclude Micich, porta solo confusione e sgomento“.

La contrada di Fiume chiamata Crimea…

Nel corso del tempo tornano a noi luoghi e figure che ritroviamo nelle silenziose pagine dei migliori scrittori -vere sentinelle delle grandi memorie e della autentica cultura-. Così  le opere di tanti letterati dell’Esodo conservano nel tempo l’ombra profonda della vita e le luci degli spazi amati che infine hanno attraversato per sempre.

Una sensibilità letteraria, memoriale e umana si deve -tra i molti altri autori dell’esilio- a Enrico Morovich, custode degli ambienti natali vissuti negli anni più cari, intorno ai noti paesaggi mai dimenticati. Scrittura rievocativa -la sua- di atmosfere e orizzonti, di incontri umani e gentili. Ne ritroviamo un esempio nel racconto Quattro ragazzi di fiume in Miracoli Quotidiani  – editore. Sellerio-Palermo.

Ambientato durante la Prima guerra mondiale, nell’estate del 1918, questo racconto richiama lontane presenze umane a noi ormai ignote, ma  ci è giunto sorprendente quanto l’autore riferiva allora di quella contrada di Fiume conosciuta a quel tempo come Crimea, laddove -dopo la fine delle ostilità belliche- vennero edificate “abitazioni civili”.

A cura di Patrizia C. Hansen

Quarantotti Gambini, scrittore e testimone del tempo più crudele

PIERANTONIO QUARANTOTTI GAMBINI

SCRITTORE E TESTIMONE DEL TEMPO Piu’Crudele.

a cura di Patrizia C. Hansen

Lo splendido e tragico “PRIMAVERA A TRIESTE – GLI ORRORI DEI PARTIGIANI DI TITO NELL’ADRIATICO ORIENTALE“.

Nel 1945, ricercato dagli jugoslavi in quanto affiliato al Comitato di Liberazione Nazionale italiano, venne sospeso dall’incarico di direttore della Biblioteca Civica : ai primi di maggio, infatti, le truppe partigiane di Tito avevano occupato Trieste — dove erano acquartierati anche gli anglo-americani — con l’intento non solo di sancire il diritto della Jugoslavia  a possedere Trieste ma per individuare e perseguire nella città e nell’intera Venezia Giulia gli esponenti della Resistenza patriottica non comunista, tra i quali era proprio lo scrittore, entrato nel CLN italiano formato dagli esponenti dei partiti democratici (cattolici, liberali, azionisti) contrari alle già chiare pretese annessionistiche jugoslave.

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Quarantotti Gambini esercitava magistralmente la sua qualità di narratore-testimone di un contesto storico che ha i caratteri di unicità, o quasi, nello scenario europeo del 1945. Trieste, con l’intera Venezia Giulia, non è «liberata» come il resto d’Italia ma prigioniera di una forza occupante implacabilmente ostile che prontamente manifesta di considerare già annessi quei territori alla nuova Jugoslavia titoista. Di contro, l’indifferenza degli anglo-americani e dunque l’assenza di una manifesta garanzia di tutela e di diritto acuiva di ora in ora nei triestini la profonda inquietudine che si alimenta ancor più delle deportazioni che colpiscono, sorprendentemente, antifascisti piuttosto che elementi del vecchio regime, mentre emerge chiaramente il monopolio jugoslavo sulle formazioni partigiane italiane.

A cura di Patrizia C. Hansen – IN CRITICA LETTERARIA ANNO XLV Fasc. iii – PP.551  n.172-  2016 . COMITATO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE : GIORGIO BARBERI SQUAROTTI  –   Torino.  PIERO GIBELLINI – VENEZIA.  RAFFAELLE GIGLIO – NAPOLI. UNIVERSITY OF TORONTO

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